“Papà, io esco a giocare a basket con gli amici”
“Ma....adesso neanche ci proviamo a mettere il punto di domanda?”
“Non serve a niente. Tanto mi dici di sì”
“Neanche...così....per darmi almeno un'illusione?”
“Ciao papà”
Apre il cancello ed esce e a me rimangono solo quei rettangoli della sua immagine dietro le inferriate che si muovono da sinistra a destra fino a scomparire del tutto.
Palla sotto il braccio.
Smetto di lavorare in giardino, mi ero messo a togliere qualche erbaccia per rilassarmi un po' e improvvisamente non ne ho più voglia.
Sono rimasto solo.
Mi verso un po' di limonata, mi siedo sudato e mi abbandono al vento piacevole di questa strana estate.
Questo ragazzino che è uscito, adolescente, con quell'aria spavalda dei suoi anni ruggenti è un segnatempo della mia vita, già così grande se ne è portato via una fetta enorme. Di solito le immagini sbiadiscono e riusciamo con difficoltà a dare lo stesso volto a una persona che cresce, ma nel suo caso, riesco a vedere benissimo, bambino appena nato, quando lo portai fuori dall'ospedale come fosse un bagaglio nel suo lettino a forma di valigia una settimana prima della Roma Campione d'Italia.
Ecco, è questa percezione del suo fisico così sviluppato che riflette un tempo lungo, consumato, vissuto e perdutamente andato.
E la sua voce, che ha cambiato di tono improvvisamente, vorrebbe farmi mettere la parola fine sul bambino che era. Senza riuscirci.
E inevitabilmente mi chiedo e mi giudico se abbiamo fatto un buon lavoro, se rivediamo una parte di noi, se i nostri insegnamenti sul modo di affrontare la vita, giusti o sbagliati, hanno fatto breccia in lui, con tutti gli errori, tutte le fatiche, tutte le ansie e tutti quei momenti difficili di scontri verbali e generazionali che ci hanno consumato le sere e le notti insonni. Questo maledetto anno della seconda media, che il tempo ha voluto finisse, e che sembra uno scoglio a cui i genitori arrivano invariabilmente impreparati nonostante ci siano già passati e ti restituisce dentro casa un'anima ribelle, uno spirito combattivo, un sognatore che non vuoi reprimere, perché non sarebbe giusto, ma che devi contrastare per non farti annientare.
Poi pensi che sì.
Che siamo stati bravi, perché in lui c'è fortissimo il senso dell'amicizia, la voglia di conoscenza, l'amore per un mondo aperto, quegli occhi ancora così curiosi e sognanti come quando sul seggiolone rimaneva incantato da qualsiasi cosa facesse la sorella.
Pensi che sì, siamo stati bravi perché conosce universi diversi, perché sa e cerca gente che non parla la sua lingua, sa dell'esistenza di una realtà multiculturale e se anche manca di spinta iniziale poi non ha difficoltà ad affrontare viaggi ed esperienze con ragazzi che conosce meno.
E anche se delle volte non riesci a capire cosa dice, sai che quando decide sa essere grande e piccolo, che sa essere generoso in campo e fuori, che ha a cuore la vittoria della squadra e non la sua personale.
E allora pensi che sì, abbiamo fatto un ottimo lavoro, anche se abbiamo sbattuto la testa, anche se ci siamo guardati in quelle notti disperate, a chiederci dove avessimo sbagliato.
E mentre lo immagino in palestra a cominciare a tempestare l'anello di tiri da tre, mi ricordo quel giorno a Tarquinia, quando vinsero un torneo all'overtime della finale. Dove lui era un bambino piccolo, che mise l'anima in campo e che giocò in modo straordinario. Alla fine ci fu una gioia incontenibile e decisero di andare tutti a mangiare a Civitavecchia.
La macchina si ruppe, proprio lì fuori della palestra. Non avevo modo di portarlo, era una domenica pomeriggio di primo autunno, gli lessi negli occhi la delusione di non essere con gli altri a festeggiare, ma non disse nulla.
Chiamai un amico prima ancora del carro attrezzi, lo pregai di raggiungermi e di accompagnare mio figlio insieme alla squadra. Arrivò, e non ho mai smesso di ringraziarlo.
Fece per salire, si fermò bruscamente, poi tornò indietro all'improvviso, inaspettatamente, perché aveva solo 9 anni. E non te lo aspetti da un bambino.
“Papà?”
“Si?”
“Grazie”
“Di cosa?”
“Di tutto”
Si alzò sulle punte per darmi un bacio e io mi chinai per riceverlo.
Fabrizio Mastropietro
"Un uomo tranquillo"