uno di quei figli che

Uno di quei figli che...

Si, lo so, sono uno di quei figli che non chiamano mai, di quelli che si fanno sentire raramente adducendo come scusa i tanti impegni, uno di quei figli che quando si decidono a farlo vengono puntualmente anticipati e la coscienza rimorde sempre più.

Dalla pagina Facebook di Un Uomo Tranquillo

Chissà poi perché lo faccio, magari inconsciamente perché so che stai bene e non voglio rompere un incantesimo, perché se il tempo rimane sospeso allora vuol dire che non ti succederà mai niente, un tentativo di creare una piccola eternità in questo stralcio di vita.
Non sono così stupido da pensare che non stai invecchiando ma saperti pronta per un altro viaggio mi fa illudere che sarai sempre giovane e sempre qui.

Nonostante io non chiami non pensare che mi sia dimenticato di te, perché io non dimentico nulla, mi ricordo perfettamente del dito di saliva sulle mie ginocchia sbucciate, della mano che mi tenevi mentre entravamo al mercato di Piazza San Giovanni di Dio e io aprivo gli occhi su quel mondo colorato di frutta e verdura. Ero incantato, ti ricordi?, dall'omino che vendeva le alici sotto sale, quello che aveva quel pezzetto di legno con il quale le separava una ad una e le pesava su una bilancia improvvisata avvolgendole nella carta bianca. Da grande avrei voluto fare il venditore di alici sotto sale, al punto tale che una volta me ne comprasti una confezione intera e ci giocammo con Roberta pomeriggi interi: povere alici tolte e rimesse in quella scatola centinaia di volte.

E se non chiamo mai non ho certo dimenticato quando mi facevi leccare le dita con le quali avevi impastato la torta e ci litigavamo quello che ne restava nella ciotola e tu sempre a dividere in parti uguali. E il fatto che prendesti la patente solo per portarci al mare, quelle lunghe interminabili traversate lungo la via ostiense dove ogni chilometro i cartelli ti ricordavano quanto lontana fosse la spiaggia e come cresceva di pari passo la nostra frenesia, su una macchina piccola, sotto il solleone, pieni di palette e secchielli, pizza e mortadella.
E quel dolore cosi acuto, così profondo e al me bambino così incomprensibile, quando morirono i nonni a distanza di quattro mesi esatti uno dall'altra, e vidi ripetersi due volte i tuoi occhi rigati di pianto e solo ora capisco il perché di quel viaggio in Spagna e di quell'abbraccio così forte che ci desti al tuo rientro.
E i chilometri spesi per la piscina e i compiti che mi aiutasti a fare fin quando ti fu possibile e tutte le volte giù a trastevere con il 44 sempre mano nella mano e tieniti altrimenti cadi. E la cucchiara che volava quando facevo il monello ed era sempre colpa di mia sorella. E tornando da scuola il pranzo pronto e quella famosa parola di dolcezza che portavi in tavola.

E anche non chiamando non dimentico che crescevo e diventavo più grande fino al punto che un giorno mi chiedesti di non difendermi altrimenti ti saresti fatta male.

E quella forza che tirasti fuori quando dopo diciassette anni dovesti ricominciare tutto da capo per una o più notti brave, questo non lo so, e sfornasti un altro cucciolo d'uomo a riempire una casa in cui le luci si andavano spegnendo.

E la casetta, le merende, i palloni fatti con lo scotch, la cerbottana, la funivia, la febbre, la minestra olio e parmigiano, le corse dei cavalli intorno al tavolo, la borsa del nuoto, il motorino in camera, le arance per lo stadio, i giri con gli autobus, le partite di calcio in corridoio, il divano letto, la signora Aguglia, il cinema di Donna Olimpia, San Grisogono e tutte quelle pallonate a vicolo del Cedro.

Mi scapperà via forse qualche telefonata in più, non sarò aggiornatissimo su tante cose, avrò sempre l'impressione che le cose vadano bene, mi dirò che in fondo siamo ancora vivi, siamo ancora qui, che ho sempre la possibilità di scendere a Trastevere e venire a casa, che in qualche parte del mondo comunque ti stai muovendo e il cuore batte ancora. Potrò dire ancora tutto questo e non è poco.

La leggenda narra che io sia il figlio prediletto, che quando mi vedi ti si illuminano gli occhi, che hai un modo molto sospirato di pronunciare il mio nome quando parli con gli altri, ma non è vero.

Non ci sono mai figli prediletti.

In realtà sono solo quello che non chiama mai e a volte non si ricorda.

A proposito, quasi stavo per dimenticarmelo.

Buon compleanno, mamma.

Fabrizio Mastropietro

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