Bambini bilingue

I bambini bilingue hanno una marcia in più [seconda parte]

L’ultima volta vi ho lasciati con gli studi scientifici secondo i quali i bambini riconoscono i ritmi di lingue diverse appena nati. La prossima cosa da capire sarebbe giustamente che cosa succede dopo.

I bambini bilingue sono confusi
o hanno veramente una marcia in più?

Sicuramente alcune di voi conoscono già la teoria della grammatica universale di Chomsky. Cercherò di spiegarla qui in un modo molto semplice. Chomsky è uno dei linguisti e filosofi moderni più importanti. Lui ritiene che tutti gli esseri umani nascono non proprio come tabula rasa, ma con una rete universale in testa che può essere riempita con qualsiasi lingua a cui essi vengano esposti. Questa rete immaginaria, l’ha chiamata: “grammatica universale”.

Secondo lui, tutte le lingue hanno delle caratteristiche in comune e poi si distinguono, non solo in lessico, ma anche in modo in cui combinano le parole e varie desinenze. Per esempio, tutti noi per fare una frase semplice utilizziamo soggetto, verbo e complemento. A seconda della lingua, cambia solo l’ordine in cui li mettiamo per formare la frase. Ovviamente, impariamo la lingua alla quale siamo maggiormente esposti.

Chomsky, però, si è sempre occupato solo di spiegare il modo in cui noi impariamo la nostra prima lingua. Gli altri scienziati hanno poi sviluppato le teorie che partono da quella di Chomsky e spiegano l’apprendimento di due o più lingue. Un altro punto critico di Chomsky era il momento in cui questa nostra grammatica universale, con cui nasciamo, si chiude in modo spontaneo e dopo non possiamo più imparare nessuna lingua in modo naturale.

Ad oggi, tra i linguisti c’è un accordo approssimativo, secondo il quale questo passo avviene tra i 5 e i 6 anni di vita. Un bambino prima di questo periodo impara le lingue con la legge della statistica. Il nostro cervello prende per giuste le parole e le costruzioni linguistiche che sentiamo spesso, mentre elimina quelle che non sentiamo frequentemente.

I bambini imparano prima le regole e poi le applicano in tutti i casi generalizzando. Questo spiega perché sentiamo spesso i bambini italiani dire: io vieno, tu vieni, lui viene ecc. e i bambini inglesi: I go, I goed (al posto di I went) e per chi capisce il croato: ja možem, ti možeš…

In seguito queste forme vengono eliminate sempre seguendo la statistica. Se non le sentono mai, non le useranno più. Il cervello dei bambini lo fa in automatico.

Mentre un bambino monolingue elabora la statistica di una sola lingua, il bambino bilingue fa un lavoro doppio.

Non solo deve tenere conto della statistica dell’uso delle parole in due lingue diverse, ma deve anche separarle bene nella propria testolina, sempre sistematicamente, seguendo la legge della statistica. A questo punto diventa comprensibilissimo il fatto che i bambini bilingue usano all’inizio lessico di una lingua con la grammatica dell’altra o il soggetto della frase in una lingua con il verbo nell’altra. Semplicemente detto, le mischiano. O iniziano a parlare più tardi degli altri bambini o hanno un lessico ristretto nella loro prima lingua rispetto ai loro coetanei monolingue. Loro devono fare il lavoro doppio e sistemare bene tutto nella loro grammatica universale. Anzi, ne devono creare due.

In teoria, secondo i linguisti che hanno ulteriormente sviluppato la teoria di Chomsky, un bambino potrebbe imparare parallelamente non solo due, ma anche tre, quattro, cinque lingue… L’unica condizione da soddisfare sarebbe esporli a tutte queste lingue in misura uguale ed è proprio questo che di solito non è possibile nella vita reale. Fin quando sono molto piccoli, in famiglia potrebbero anche essere esposti ugualmente a due o più lingue, ma appena iniziano ad andare al nido o alla scuola dell’infanzia, queste condizioni cambiano.

La mia prima figlia, Martina, quella che ancora nella pancia sembra aver capito il cambio della lingua, i primi due anni di vita stava quasi sempre con me e parlava soprattutto in croato. Se la lasciavo con qualcun altro, non c’ero e non mi rendevo conto di quanto italiano sapesse realmente. Mi ricordo il suo primo giorno di nido, aveva appena compiuto due anni. Era in piena fase spannolinamento ed io ero preoccupata se le maestre italiane l’avrebbero capita quando doveva andare al bagno.

Tutta preoccupata, mi sono messa a spiegare alle maestre le paroline carine che potete immaginare, ma quando sono andata a riprenderla mi dissero: “Signora, non sappiamo di cosa si preoccupava lei, la bambina parla italiano perfettamente per la sua età!” E io incredula: “Ma anche la pipì, ve l’ha detto in italiano che doveva farla?” E loro:” Sì, certo.” E io:” Ma se ce la porto solo io a farla, come lo sapeva come si diceva in italiano?”

Ecco, anche se ce la portavo solo io, lei mi sentiva parlare con le altre mamme e le maestre dello spannolinamento, sentiva tante altre persone parlare italiano, incluso il suo papà, e il suo piccolo cervello processava tutto. Ha sviluppato ben presto una tattica: quando chiedeva una cosa in una lingua e non la otteneva, ci provava nell’altra.

Così diceva: “Tina oće ninut!“ (Martina se hoće skinuti sa hranilice), e se io non rispondevo, ci provava in italiano: “Tina vuole dendele!” (Martina vuole scendere dal seggiolone). Io reagivo meravigliata e contentissima, ridevo pure e lei aveva capito che il suo bilinguismo mi entusiasmava e così ha trovato il modo per ottenere quello che voleva.

Il passo successivo è stato di scindere bene le due lingue. Verso i tre anni di vita sapeva con precisione con chi poteva parlare in italiano e con chi in croato. Un giorno mentre la portavo alla scuola dell’infanzia, mi chiese: “Ok, mamma, questa è la mia scuola italiana. E dov’è la mia scuola croata?”. Sono rimasta senza parole. Che cosa le rispondi in quel momento? Ho cercato di spiegarle che in Croazia, dai nonni, esistono le scuole in croato, ma in Italia no, e che lei è comunque fortunata perché può capire tutti sia in Italia che in Croazia. Ed ecco che un anno dopo, quando anche la sorellina era abbastanza grande da poter giocare, in Croazia abbiamo assistito a una scena linguisticamente bellissima.

Dall’Italia avevano portato qualche Barbie e in Croazia le aspettavano una ventina di Barbie di mia sorella, di quando era piccola. Manuela aveva circa due anni e parlava ancora poco. Comunque inizia a parlare alle Barbie croate in italiano e Martina la riprende immediatamente: “Manuuuuuu, noooo, devi tradurre, loro non capiscono italianoooooo!” E io, ridendo di nascosto, le ho lasciate tradurre…

Comunque, l’esperienza con Manuela è stata completamente diversa e ve ne parlerò nel nostro prossimo articolo.

SuperMamma Marija

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